Paste di mandorle alla rosa |
Un po’ di storia prima
della ricetta
I progenitori del marzapane sembra siano stati in epoca
etrusco-romana dei dolcetti di mandorle che erano offerti alle divinità, ma la
sua ricetta, realizzata con pasta di mandorle dolci, albume d'uovo e zucchero,
risale al XIII-XIV sec.
Il marzapane dall'arabo "marzaban", era un'unità di capacità in uso a Cipro ed in Armenia quale sottomultiplo del moggio. Come accadde per l'anfora, per la giara o per la botte, l'unità di misura cedette il suo nome al contenitore tarato sulla misura stessa. Questa scatola di legno leggero (tipo quello dei setacci) dotata di un coperchio, venne utilizzata per usi diversi. Per racchiudere la corrispondenza o i documenti importanti (da questo il modo di dire "aprire i marzapani" nel senso si svelare segreti), ma anche per spedire speciali dolci prodotti a Cipro, confezionati con farina, pasta di mandorle ed altri ingredienti. Dato che questi dolci prendevano la forma della scatola ed erano simili a pani, il nome dell'involucro passò al contenuto. A Venezia, grazie alla relativa facilità con la quale era possibile reperire lo zucchero, già nel XIV secolo i pasticceri erano famosi per l'abilità con cui riuscivano a ricavare dal marzapane figure e sculture di ogni genere.
Forse la più antica e famosa preparazione fatta con questa pasta è la Frutta di Martorana, che vide la luce ufficialmente a Palermo, nel convento annesso alla chiesa eretta durante il 1143 da Giorgio d'Antiochia, alto ufficiale del re. Con il marzapane le suore confezionavano per la festa di Ognissanti piccoli dolci, che imitavano in modo sorprendente frutti d'ogni tipo dai colori vivacissimi, ottenuti grazie alla gomma arabica che permetteva di fissare le tinte vegetali derivanti da rose, zafferano, pistacchio ecc. L'impasto veniva chiamato anche "pasta reale" in quanto degno di un re: nella fattispecie il normanno Ruggero II re di Sicilia.
Nel 1193 ca. la nobildonna Eloisa Martorana fece costruire un monastero benedettino accanto alla chiesa ed al convento, e così in suo onore, sia il complesso edilizio che i dolci preparati dalle monache assunsero il nome "della Martorana". Con il passare del tempo ogni ricorrenza religiosa si guadagnò uno speciale soggetto di marzapane: pecorelle per Natale, cavallucci per Sant'Antonio, agnelli per Pasqua.
Il successo di questi dolcetti spinse la corporazione dei Confettari a tentare di ottenere il monopolio della loro produzione. Lo scopo venne raggiunto nel 1575 con l'intervento del sinodo diocesano di Mazara del Vallo, che proibì alle religiose la preparazione della Frutta di Martorana perché arrecava troppa distrazione al raccoglimento liturgico. http://www.taccuinistorici.it/ita/news/medioevale/dolci/Dolcetti-di-marzapane-e-frutta-di-Martorana.html.
Il marzapane dall'arabo "marzaban", era un'unità di capacità in uso a Cipro ed in Armenia quale sottomultiplo del moggio. Come accadde per l'anfora, per la giara o per la botte, l'unità di misura cedette il suo nome al contenitore tarato sulla misura stessa. Questa scatola di legno leggero (tipo quello dei setacci) dotata di un coperchio, venne utilizzata per usi diversi. Per racchiudere la corrispondenza o i documenti importanti (da questo il modo di dire "aprire i marzapani" nel senso si svelare segreti), ma anche per spedire speciali dolci prodotti a Cipro, confezionati con farina, pasta di mandorle ed altri ingredienti. Dato che questi dolci prendevano la forma della scatola ed erano simili a pani, il nome dell'involucro passò al contenuto. A Venezia, grazie alla relativa facilità con la quale era possibile reperire lo zucchero, già nel XIV secolo i pasticceri erano famosi per l'abilità con cui riuscivano a ricavare dal marzapane figure e sculture di ogni genere.
Forse la più antica e famosa preparazione fatta con questa pasta è la Frutta di Martorana, che vide la luce ufficialmente a Palermo, nel convento annesso alla chiesa eretta durante il 1143 da Giorgio d'Antiochia, alto ufficiale del re. Con il marzapane le suore confezionavano per la festa di Ognissanti piccoli dolci, che imitavano in modo sorprendente frutti d'ogni tipo dai colori vivacissimi, ottenuti grazie alla gomma arabica che permetteva di fissare le tinte vegetali derivanti da rose, zafferano, pistacchio ecc. L'impasto veniva chiamato anche "pasta reale" in quanto degno di un re: nella fattispecie il normanno Ruggero II re di Sicilia.
Nel 1193 ca. la nobildonna Eloisa Martorana fece costruire un monastero benedettino accanto alla chiesa ed al convento, e così in suo onore, sia il complesso edilizio che i dolci preparati dalle monache assunsero il nome "della Martorana". Con il passare del tempo ogni ricorrenza religiosa si guadagnò uno speciale soggetto di marzapane: pecorelle per Natale, cavallucci per Sant'Antonio, agnelli per Pasqua.
Il successo di questi dolcetti spinse la corporazione dei Confettari a tentare di ottenere il monopolio della loro produzione. Lo scopo venne raggiunto nel 1575 con l'intervento del sinodo diocesano di Mazara del Vallo, che proibì alle religiose la preparazione della Frutta di Martorana perché arrecava troppa distrazione al raccoglimento liturgico. http://www.taccuinistorici.it/ita/news/medioevale/dolci/Dolcetti-di-marzapane-e-frutta-di-Martorana.html.
Fantastico prodotto molto diffuso in Sicilia, sardegna e nel
mio amatissimo Salento Pasta
te mennule o Pasta ti mennuli in salentino
Ricetta versione vegan a cura di
Paola Laura Fabbri
500 gr. di farina di mandorle
300 gr, di zucchero, quello che
preferite.
140 gr. di acqua di rose per la
versione alla rosa e acqua per quella classica
mandorle e canditi per la
decorazione
In una casseruola versare lo
zucchero e l’acqua, portare ad ebollizione e cuocere a fuoco basso fino a
completo scioglimento dello zucchero. Versare la farina di mandorle e cuocere a
fuoco basso, mescolando continuamente, fino a che la pasta non si stacca dalle
pareti. Togliere dal fuoco, mettere l’impasto in una sac à poche con bocchetta
decorata. Formare delle roselline su una teglia rivestita di carta da forno.
Decorare con canditi e mandorle. Cuocere in forno preriscaldato a 180°C per 10-12 minuti. Attenzione che non
si coloriscano troppo.
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