Versione vegan a cura
di Paola Laura Fabbri
Questa volta mi
perdonino i calabresi
….a far la bocca dolce ai commensali penserà la famiglia dello
sposo, che a fine pranzo dovrà offrire la pitta ‘mpigliata preparata anzitempo
curando che la pitta sia di finezza giusta…
Così recita
un documento del 1728 che sancisce il contratto di matrimonio stipulato tra i
coniugi Giaquinta di San Giovanni in Fiore che acconsentirono a dare in sposa
la propria figlia al benestante Battista Caligiuro. (http://www.cookaround.com/cucina-regionale/cms/calabria/monografie/pitta-mpigliata)
Fin nell’antichità la“pitta” era un
alimento conosciuto. Nell'antico Egitto, per il genetliaco del Faraone, si
consumava una schiacciata condita con erbe aromatiche. Erodoto ci ha tramandato
delle ricette babilonesi. Archiloco di Paro, poeta e militare del VII secolo
a.C., ci informa della sua "focaccia impastata" come l'alimento
principale del soldato. “Pitta” che, in greco, significa focaccia, pane,
piatto. La Grecia ci tramanda schiacciate e focacce come alimento diffuso e
popolare in tutta l'antichità classica. I greci della classicità usavano
la "pitta" come piatto,chiamate anche " mense", su
cui deporre i cibi a tavola, ma quando la fame era tanta mangiavano
anche quelle, cosi come ci descrive Virgilio nell’ Eneide al libro Settimo,
“Altro per
avventura allor non v'era di che cibarsi. Onde, finiti i cibi, volser per fame
a quei lor deschi i denti, e motteggiando allora: «O - disse Iulo -fino a le
mense ancor ne divoriamo?» mentre l’ultimo dei padri latini Isidoro
di Siviglia, nelle sue Etymologiae, sostiene che il termine
"focaccia" derivi dal latino focàcia, femminile di focàcius, con il
significato di "cotta al focolare". Altri sostengono che la “pitta” è
una ciambella di pane, le cui origini derivano dalla focaccia rituale decorata
, picta cioè pittata ,dipinta e offerta alle divinità dagli antichi
popoli italici e romani. Anche se originariamente e comunemente la
“pitta” è una focaccia salata, successivamente con l’arrivo
del pomodoro si tramuta in pizza e la “pitta” in alcune regioni
meridionali diviene un dolce nuziale, come conferma un contratto di nozze
del 1728: “… a far la bocca dolce ai commensali penserà la famiglia dello
sposo, che a fine pranzo dovrà affaire la pitta ‘mpigliata preparata anzitempo
curando che la pitta sia di finezza giusta”. La“pitta” resiste ancora nella
preparazione risultando un’alternativa gastronomica al pane, anche perché si
può riempire di ogni cosa che si desidera dopo la cottura, all’incontrario
della pizza che va condita prima. Filippo Sgruttendio de Scafato nella sua
raccolta di sonetti e canzoni in dialetto napoletano “La Tiorba a Taccone”
pubblicata per la prima volta, vivente l'autore, nel 1646, canzona che la
tiorba, strumento musicale della famiglia dei liuti, e il taccone, il
plettro, stavano affacciati da na finestrella pe ncantare a mill'arme,
Ceccarella “O bella bella de le maiorane, famme la pitta quanno fai lo
pane!". (http://www.taccuinistorici.it/ita/news/moderna/dolci/Pitta-o-pitta-mpigliata-o-bigliulata.html)
Ci sono moltissime
ricette di questo dolce, questa è la mia versione vegan
Preparare il ripieno
due giorni prima, in questo modo
Tritare grossolanamente
200 gr di gherigli di noce tritati
100 gr di pinoli
100 gr. di mandorle tritate
50 gr. di fichi secchi
100 gr di uva passa ammollata in un po’ di moscato almeno per
due ore.
Aggiungere
250 gr di succo d’agave
o malto; io odio il malto e uso l’agave
100 gr. di vino moscato
un pizzico di cannella e di chiodi di garofano. Coprire con
una pellicola da cucina e far riposare NON
in frigorifero per due giorni, mescolando ogni tanto
Per la pasta
500 gr. di farina,
quella che preferite
20 gr. di zucchero,
quello che preferite
60 gr. di olio evo
120 gr. di vino bianco
secco oppure
60 gr. di vino bianco e
60 gr. di liquori misti (anice, maraschino,
strega,…)
mezza bustina di
lievito per dolci
mezzo bicchiere di
spremuta di mandarino
Amalgamare la farina con lo zucchero, il
vino, i liquori, l’olio caldo, il lievito, e il succo di mandarino. Lavorare il
tutto a ottenere un impasto omogeneo e liscio lasciar lievitare al caldo.
Dividere la pasta in due parti. Con una
stendere una sfoglia rotonda molto sottile, circa 1-2 mm. Stendere il resto sempre
spesso 1-2 mm e creare delle strisce; io ho fatto strisce lunghe 30 cm. e alte
7.rivestire una teglia rotonda da 20 cm. di diametro con carta da forno,
posizionare la sfoglia rotonda e farla rivestendo anche i bordi. Farcire le
strisce con un po’ di ripieno e arrotolarle su se stesse. Posizionare le “girelle”
nella teglia una vicino all’altra. Cuocere in forno preriscaldato a 170°C per
un’ora, un’ora e mezza dipende dal forno, si dovrà ottenere un bel colore
brunito. appena sfornata spennellare con un po’ di succo d’agave.
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